Capire i sensi del cane:lettura interessante!!Pubblicato in: Il comportamento del cane Per partecipare a questa discussione clicca qui |
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Italacopio e incollo questo interessante lavoro,trovato nel web...ETOLOGIA E MENTE DEL CANE Dott.ssa Maria Chiara Catalani – Medico veterinario Consigliere SISCA – Società Italiana Scienze Comportamentali Applicate mchiaracatalani@libero.it La convivenza del cane con l’uomo è antichissima ed il tempo trascorso insieme a lui ha fatto sì che la nostra specie sia stata influenzata tanto quanto lo è stata quella canina. Il cane ha vissuto in diversi modi accanto all’uomo, frequentemente sfruttato per diverse qualità che lo caratterizzano: l’attitudine alla difesa, alla caccia, al riporto, alla ricerca. Qualità, tutte, fondate su caratteristiche tipiche dell’etogramma del cane come la socialità, la tendenza alla collaborazione, la ricerca di appartenenza e partecipazione ad un gruppo composto da co-specifici ma anche dall’uomo. In Italia i cani da lavoro sono migliaia, divisi in varie categorie in base alla specializzazione: cani di varia utilità (da pastore, da guardia, da difesa, da tartufi ecc.), cani da protezione civile (da soccorso su macerie, da soccorso in superficie, da valanga, da salvataggio in acqua), cani di pubblica utilità (antidroga, antiesplosivo e in genere quelli utilizzati da polizia, carabinieri, guardia di finanza, corpo forestale, polizia penitenziaria, vigili del fuoco), cani da pet therapy e cani da assistenza (per persone non vedenti, per non udenti, per persone diversamente abili), cani da sport. Il cane così come ha una anatomia che lo caratterizza, ha anche una struttura mentale speciespecifica la cui priorità assoluta è rappresentata dalla ricerca di un gruppo strutturato (o branco) di appartenenza. Quotidianamente nel rapportarsi con noi, questo animale osserva e ricerca indizi dalla relazione per identificare il proprio ruolo ed il posizionamento rispetto agli altri individui che compongono il gruppo. Tale ricerca avviene in modo naturale e prescinde da qualsiasi forma di violenza, imposizione, prevaricazione da parte dell’altro o sull’altro. Al contrario, i rapporti tra i membri di un gruppo, per un cane, si fondano sull’individuazione di quei soggetti che risultano propositivi, sicuri, equilibrati, coerenti, chiari, affidabili nell’interazione. E’ a questi individui che ogni cane offre la propria fedele devozione, da questi cerca indicazioni su ciò per cui si lavorerà insieme, con questi prova emozioni positive nell’interazione e non con quelli che si propongono attraverso contatti sporadici o violenti o difficilmente comprensibili. Per quei soggetti dall’approccio impositivo o violento ogni cane ha sviluppato un ricco codice comunicativo atto a sedare gli animi e di fronte alle manifestazioni aggressive emette dei segnali, detti segnali di pacificazione, per calmare l’interlocutore ed interrompere quei comportamenti preoccupanti di minaccia o di provocazione. Ogni individuo di questa specie porta con sé la capacità di dialogare anche con l’uomo, pur avendo codici molto differenti dalla nostra specie e spesso il nostro approccio, fatto di molte parole, toni forti, voce alta, minacce, costrizioni fisiche viene interpretato e vissuto dal cane come una vera e propria aggressione, fonte di grande stress e condizione assolutamente sfavorevole per stabilire un rapporto di fiducia e collaborazione, base fondamentale per lavorare insieme. Si dimentica, troppo spesso, che il cane è diverso dall’uomo, nella sua anatomia e nella configurazione delle sue capacità sensoriali così come nelle sue modalità di comunicazione, apprendimento, elaborazione delle esperienze. Le capacità sensoriali del cane fanno sì che questo si trovi immerso nel mondo in maniera completamente diversa da quanto accade alla nostra specie e questo è, probabilmente, il più significativo punto di partenza per molte incomprensioni. La più importante fonte di informazioni, per un cane, proviene dalla percezione olfattiva. La mucosa nasale è circa 70 volte più estesa rispetto a quella dell’uomo. Ma non è solo questo che rende l’olfatto del cane così sviluppato e fondamentale per sondare il mondo. Le informazioni raccolte dalla mucosa nasale, infatti, vengono decifrate da un’area cerebrale altamente sviluppata quindi sono fortemente amplificate e valorizzate. Perciò, la grande capacità olfattiva del cane non dipende esclusivamente da un maggiore sviluppo anatomico dell’organo deputato a tale funzione ma dall’ampiezza e la complessità dell’area 2 cerebrale che presiede alla funzione di elaborazione delle informazioni ricevute. Nel sistema nervoso centrale, la quantità e la solidità anatomica viene favorita dalla stimolazione precoce e, successivamente, dall’allenamento. Ciò significa che per sviluppare un “buon fiuto”, il cane ha bisogno di vivere numerose esperienze olfattive, di esplorare differenti contesti, di divertirsi ad allenare questo senso per aumentare la quantità di neuroni che lavorano sull’elaborazione olfattiva, consolidare i collegamenti che si formano tra di essi, sviluppare maggiore attenzione alla ricerca di questi stimoli, provare piacere nel farlo. Una vita deprivata delle condizioni minime di benessere, non favorisce né questo né altri aspetti dello sviluppo del cane. Perché un individuo, di qualsiasi specie, possa essere nelle condizioni di apprendere, lavorare, socializzare ha la necessità di soddisfare prima i requisiti minimi di benessere. Questi requisiti comprendono il cibo, che deve essere di ottima qualità e bilanciato, l’acqua di abbeveraggio che deve essere sempre fresca e pulita, i trattamenti antiparassitari, le cure mediche e le profilassi varie, che devono essere costanti, il luogo di vita che deve essere tenuto in condizioni igienicamente ottime, termoregolato, sicuro, non isolato ma abbastanza appartato da offrire tranquillità. Altri requisiti minimi di benessere etologico riguardano, per il cane, tutti gli accorgimenti correlati alla socialità di questa specie. La gestione in box non offre al cane sufficienti occasioni per allenare le sue capacità sensoriali, per realizzare esercizi e giochi che arricchiscano l’area olfattoria del cervello di nuove esperienze e consolidino le conoscenze acquisite. Pertanto, per un cane che vive in box è necessario un allenamento quotidiano di queste capacità, che preveda l’esplorazione di luoghi, persone, oggetti e, non meno importante, che lo arricchisca di esperienze diverse, che verranno vissute ed elaborate col corpo, la mente ma, prima di tutto, “col naso”. Un altro senso che merita attenzioni è rappresentato dalla vista che, pur essendo al secondo posto nel processo di esplorazione del mondo, è un importante mezzo di esplorazione. Il cane ha un campo visivo di 270° (contro i nostri 180°) perciò riesce a vedere le immagini prodotte da oggetti o soggetti posizionati dietro/lateralmente alle proprie orecchie. Il cane, inoltre, ha la possibilità di distinguere oggetti in movimento circa 10 volte meglio dell’uomo. La ridotta visione binoculare non gli permette, tuttavia, di distinguere bene i contorni di oggetti fermi e vicini e la gamma di colori percepiti è molto differente rispetto alla nostra specie. La vista è una capacità sensoriale centrale nella comunicazione. Il cane, infatti, mentre raccoglie informazioni olfattive dal soggetto che ha di fronte, osserva attentamente una serie di indizi fondamentali per coglierne intenzioni, stato emotivo, richieste. Nella comunicazione canina la postura del corpo dell’interlocutore, la velocità e l’intensità dei movimenti, il posizionamento del corpo rispetto a chi osserva, rappresentano la base per la comprensione. Mentre la nostra specie è abituata a dare maggior importanza all’aspetto verbale della comunicazione, nel cane l’aspetto verbale è secondario mentre possono essere significativi tono ed intensità della voce. L’udito in questa specie è molto sviluppato grazie alle caratteristiche anatomiche dell’orecchio esterno (padiglione mobile, posizionato all’apice e lateralmente nel cranio, corrugazioni cutanee che fungono da amplificatori) e grazie a un’area cerebrale in grado di processare informazioni anche a bassissima intensità sonora oltre che ad alta frequenza (ultrasuoni). Per il cane il tono ed il volume della voce rappresentano indizi di comunicazione ma spesso risultano eccessivi rispetto all’intensità che la nostra specie è solita utilizzare. L’uomo ha la cattiva abitudine di gridare al cane ciò che desidera, ripeterlo aumentando di volta in volta l’intensità e la durezza del tono. Questa modalità non aumenta l’efficacia dell’informazione sia perché sgradevole e talvolta paurosa per il cane, sia perché basata su mezzi di comunicazione impropri per la modalità comunicativa canina. L’efficacia di una richiesta verbale rivolta al cane non dipende, quindi, dall’intensità della voce, dalla minacciosità del tono o dal numero di ripetizioni della stessa ma dall’affiancamento di un linguaggio corporeo adeguato rispetto a ciò che si desidera comunicare. 3 Gusto e tatto non rappresentano sensi fondamentali nell’esplorazione del mondo se non in particolari momenti dello sviluppo nel cucciolo. Questo, infatti, durante una fase dello sviluppo precoce (fino a circa 1 mese di età) consolida quelle strutture neuronali che costruiranno le potenzialità cognitive e di relazione col mondo. Una stimolazione tattile dal periodo di sviluppo in poi, quando effettuata con delicatezza, senza costrizioni né manovre dolorose e proporzionata alle caratteristiche fisiche del piccolo, può favorire uno sviluppo equilibrato e ricco del sistema nervoso centrale, oltre a gettare le basi per un rapporto di fiducia con l’uomo. Il gusto, seppur fondamentale durante tutta la vita del cane per salvaguardarlo dall’assunzione di sostanze nocive, non ha ruoli specifici se non quando viene coinvolto nella esplorazione orale tipica del periodo precoce dello sviluppo (fino a 6 mesi di età). L’abitudine del cucciolo di mordicchiare, prendere in bocca, masticare e, talvolta, ingerire sostanze non alimentari non è tanto collegata all’eruzione e/o al cambio della dentatura quanto alla necessità di utilizzare gusto (e tatto) per conoscere gli oggetti che incontra, saggiarne la consistenza, il peso, il sapore. Generalmente, quando non si instaura un circolo vizioso di interruzione da parte del proprietario e di fissazione da parte dell’animale, questo comportamento è destinato a cessare quando i sensi del tatto e del gusto sono stati sperimentati e lasciano posto alla sperimentazione delle capacità fisiche, della coordinazione motoria, dell’esplorazione visiva ed olfattiva del mondo. Infine, il cane possiede un ulteriore senso sconosciuto alla nostra specie, detto para-olfatto. Le parti anatomiche coinvolte nell’attivazione del paraolfatto sono: la cavità boccale, quella nasale, l’organo vomero-nasale o di Jacobson e una specifica area cerebrale. Questo senso viene attivato da molecole volatili chiamate feromoni le quali, una volta penetrate nella bocca, attraverso dei canalicoli raggiungono la cavità nasale e da qui, attraverso l’organo vomero-nasale, il cervello. Qui i feromoni agiscono da modulatori del comportamento e sullo stato emozionale. Il paraolfatto, dunque, non è basato sulla percezione di odori ma sulla azione di sostanze in grado di modificare il comportamento dell’animale. Esistono feromoni emessi durante esperienze che spaventano (feromoni di allarme), quelli utilizzati per il richiamo amoroso (feromoni sessuali) e quelli in grado di tranquillizzare e rassicurare (feromoni di appagamento). Questo strumento di interazione col mondo è totalmente incomprensibile per l’uomo ma centrale per il cane e causa di notevoli incomprensioni poiché, talvolta, il cane può manifestare comportamenti apparentemente fuori luogo ma concretamente dovuti alla percezione di informazioni che alla nostra specie sfuggono completamente. Conoscere le differenze sensoriali del cane significa porre le basi per un approccio migliore e più coerente perché fondato sulla consapevolezza di una differente immersione nel mondo. Tutti i sensi del cane hanno un’efficacia correlata alle caratteristiche specie-specifiche, razzaspecifiche e definiscono il suo comportamento tanto quanto l’ambiente di vita durante lo sviluppo e le esperienze vissute durante questa fase di vita. Conoscere varie esperienze e differenti luoghi, vivere una vita varia e sicura, costruire e vivere un rapporto con l’uomo costante e di fiducia significa, per il cane, sviluppare e consolidare un apparato sensoriale ed un sistema cerebrale assolutamente solidi. L’adattabilità del cane (così come quella dell’uomo) è fortemente legata a ciò che possiamo chiamare “allenamento mentale” e questo processo dovrebbe essere sempre finalizzato alla stimolazione varia e a complessità crescente sia dell’apparato sensoriale sia del sistema nervoso centrale, esattamente come avviene per ciò che si realizza nell’allenamento fisico. Questi apparati, infatti, allo stesso modo dell’apparato muscolo-scheletrico, aumentano le proprie capacità funzionali ed il proprio sviluppo in relazione alle occasioni di esercizio, alla richiesta di performance differenziate, al graduale aumento dell’intensità e della difficoltà ma sono anche correlate alla positività o meno della percezione che l’animale ha delle esperienze vissute durante il lavoro. Un cane che viene coinvolto in uno specifico lavoro (caccia, ricerca, pet therapy, salvataggio, ecc.) non potrà mai offrire il massimo di sé quando gestito in una condizione di privazione. 4 Tale privazione è riferita ad esperienze sensoriali povere come una vita in box, lunghi periodi di inattività, l’esclusiva esplorazione di luoghi relativi all’uso specifico (campo da caccia, siti di ricerca, ecc.), lo sviluppo comportamentale carente di esperienze di socializzazione e di conoscenza di situazioni ed ambienti vari e incentrata esclusivamente alla preparazione specifica. Non solo. Anche la privazione riferita all’aspetto sociale è nociva ai fini dello sviluppo di capacità e abilità e ciò può accadere a quei soggetti che vengono affidati in momenti sbagliati dello sviluppo (prima dei 60 giorni di vita) o, al contrario, tardivamente e passando da un ambiente ipostimolante ad uno significativamente differente. Anche il tipo di relazione che l’animale vive con il conduttore/proprietario ha un’importanza centrale in merito. Relazioni sporadiche (legate a periodi/giornate di lavoro), coercitive o violente, fondate esclusivamente su interazioni specifiche rispetto alla mansione affidata all’animale, incoerenti rispetto alle sue caratteristiche, influiscono negativamente sulle sue performance, sul suo rendimento, sulla sua adattabilità a differenti contesti. La mente del cane ha forti capacità di memorizzazione, elaborazione delle informazioni provenienti dall’ambiente e dall’organismo, creazione e modellamento delle rappresentazioni. Ciò significa che ogni esperienza, anche per il cane, forgia le capacità mentali e crea un ponte di collegamento tra ciò che accade, ciò che viene percepito attraverso il sistema sensoriale, ciò che proviene dalle emozioni, quanto il soggetto ricerca sulla base delle motivazioni. Il cane, infatti, è caratterizzato da un insieme di motivazioni specifiche che sono forme di orientamento verso il mondo e definiscono ciò che per ogni cane è significativo e che va ricercato nel mondo e dal mondo. Tra le tante motivazioni che caratterizzano la specie canina la predatoria, la sillegica (tendenza a raccogliere e portare con sé) e la collaborativa fanno sì che questo sia da sempre l’animale maggiormente sfruttato dall’uomo per la caccia, la ricerca, il salvataggio, la conduzione o la guardia di animali d’allevamento. Lavorare sull’educazione del cane significa dare sia una cornice all’espressione delle motivazioni, ovvero far sì che queste vengano espresse nei giusti contesti, sia creare un registro di espressione delle motivazioni, ovvero favorire la loro attivazione sul giusto livello, quello che permetta la concentrazione, che sia fondato sulla collaborazione con l’altro, che promuova un vissuto fatto di esperienze positive, che abbia il giusto peso nella rappresentazione che il cane si crea del mondo. L’addestramento coercitivo, in verità ancora troppo utilizzato, non consente questo processo poiché mette in atto metodi che tendono ad una inibizione comportamentale, alla “potatura” comportamentale e, quindi, all’impoverimento della adattabilità del cane e della sua espressione comportamentale. Lavorare sull’inibizione e sulla coercizione significa, spesso, esitare in una fissazione comportamentale dell’animale in quanto, in questo modo, si crea uno sbilanciamento dell’assetto motivazionale, facendo prevalere pochissime motivazioni su tutte. Operare per inibire alcune sequenze comportamentali piuttosto che per arricchire le capacità di un soggetto, significa privare il cane di attività che possono essere per lui gratificanti e rendere il lavoro poco divertente o addirittura frustrante per l’animale. L’esito di un lavoro mal gestito può essere la rinuncia alla collaborazione da parte del cane, una sua fissità comportamentale ed altri problemi comportamentali che talvolta determinano la necessità di rinunciare al lavoro con lui. Un cane “da lavoro” può offrire il massimo di sé solo se stimolato a vivere esperienze numerose, varie e caratterizzate da emozioni positive, dato che solo queste modalità garantiscono l’elaborazione di rappresentazioni del mondo da ricercare e replicare. Imparare attraverso il gioco, vivendo un rapporto quotidiano con il proprio gruppo, nella vicinanza fisica costante al proprio conduttore/proprietario, senza coercizioni o punizioni fisiche fa sì che il cane sviluppi sicurezza, alleni la propria motivazione collaborativa, affini l’intesa comunicativa con l’uomo, alimenti la propria innata fiducia verso l’uomo. Tutto ciò rende il cane in generale ed il cane “da lavoro”, in particolare, un animale affidabile, sano, equilibrato, capace di imparare sempre meglio a ricoprire il proprio ruolo ed il lavoro al suo fianco non può che essere positivamente influenzato da tutto questo. [ Questo Messaggio è stato Modificato da: Itala il 10-01-2009 11:53 ] |
martyflooLo trovo davvero interessante |
bonnieBisognerebbe che l’etologia venisse insegnata come materia di studio nelle scuole, ancora siamo abbastanza lontani da far capire e accettare l’idea che i cani non sono uomini, né cose, ma esseri viventi particolari che possiamo comprendere e aiutare, sono esseri evoluti con una psiche ben organizzata attraverso le loro proprietà sensoriali, l’esperienza, l’apprendimento e le capacità relazionali, provano emozioni , inoltre sono in grado di immagazzinare dati che categorizzano e riutilizzano attraverso processi mentali elaborati e che la scarsa conoscenza di questo porta a problemi di comportamento. |
martyflooQuoto!! |
Itala..magari qualcuno ha voglia di leggerlo |
TAQMolto interessante. Quoto |
sofiaeginnyio l'ho stampato, ora me lo leggo a casa con calma e ne do copia a tutte le mie conoscenze |